Il Gigante dai piedi d'argilla
LA COSTA IONICA MERIDIONALE: LA FASCIA DELLE MARINE
I caratteri fisici
La sporgenza di Punta Stilo chiude a sud il Golfo di Squillace e segna l’inizio del versante ionico meridionale che ricade interamente nella provincia di Reggio Calabria. In questa zona, il litorale si mantiene basso e sabbioso per lunghi tratti e solo di rado, la costa si presenta arcuata a festoni, con gli estremi saldati a piccole prominenze rocciose o a sbocchi fluviali. La strada e la ferrovia che le si parano dinnanzi, procedono affiancate e, sempre in vista del mare, seguono all’unisono il perimetro costiero, percorrendo agevolmente chilometri di arenili sparsi fra i centri abitati. Sono spiagge libere, dalla sabbia fine e dorata, che si animano solo d’estate per folle di bagnanti alla ricerca di ampi spazi e di mare pulito e incontaminato. E’ un paesaggio luminoso, steso com’è tra il biancore accecante del greto dei torrenti -che in questa zona scendono numerosi- e le spiagge assolate. Ma sono le alture rivierasche, a ridosso della strada, che colpiscono il visitatore.: a tratti morbide e verdeggianti, ma più spesso nude, tormentate e desolate, segnano con la loro presenza un paesaggio degradato su cui incombe un destino precario.
Le formazioni calanchive
Protagoniste sono le marne plioceniche, argille biancastre a forte componente calcarea che, per il loro colore, hanno dato il nome all’abitato di Bianco, dove si presentano più estese e con spettacolari forme erosive: i calanchi. La scenografia, modellata su questo substrato, ha un che di effimero e non è mai uguale a sè stessa; a seconda del tipo di argilla e della pendenza del terreno, cupolette sinuose e poco inclinate, mammellonate o a tumulo, si susseguono in forme dirute, a lame di roccia con creste sottili, che si intersecano a ventaglio con vallecole originate dalla più sfrenata erosione. Sono piccoli bacini idrografici in miniatura, che raccolgono le acque dilavanti in un intreccio di valli e i mille rivoli erodono, demoliscono, scalzano, alterando la fisionomìa originaria. Sui pendii impermeabili e molto ripidi, il ruscellamento concentra l’usura in intagli profondi e permanenti sempre più accentuati, mobilizzando così grandi quantità di materiale che si convogliano rapidamente nelle zone depresse, in imponenti accumuli. Sono proprio questi impluvi a dare vita ad un paesaggio dall’aspetto mutevole, strettamente legato alle precipitazioni atmosferiche che, in periodi di tempo assai brevi, possono concentrarsi anche in quantità eccessive. Secondo alcuni è la giacitura degli strati, inclinati a reggipoggio, con la maggiore pendenza verso sud e immersi verso l’interno, a favorire l’erosione e lo sviluppo calanchivo dei versanti meridionali che si presentano "di faccia" all’azione degli atmosferili, specie di quelli di S.E. (del III quadrante). Altri invece, ritengono fondamentale il ruolo dell’esposizione geografica: i versanti a solatìo sono maggiormente esposti all’essiccamento e, fessurandosi per l’aridità nei periodi siccitosi, predispongono il terreno all’attacco e all’incisione delle acque selvagge scorrenti in superficie. Il disfacimento del nocciolo cristallino della montagna calabrese, sottoposto a fenomeni tettonico-disgiuntivi prima e ad arenizzazione e argillificazione poi, per motivi climatico-ambientali, ha fornito il materiale che, dilavato dagli agenti atmosferici, si è andato depositando in mare fin da 4-5 milioni di anni fa. Ci troviamo qui nella zona più esterna dell’arco calabro-peloritano, per cui le rocce sono più soggette a sforzi di trazione crustali e perciò più smembrate e quindi più erodibili rispetto a quelle della zona più interna, tirrenica. La compressione africana ha messo allo scoperto gli "isolotti" calabresi ed il sollevamento tettonico ha attivato le forze erosive per l’aumento dell’energia potenziale detta, in geomorfologia, energia del rilievo. L’efficacia di tali forze la si può valutare considerando come nell’ultimo milione di anni vi sia stato un brusco aumento nella velocità di sollevamento, con valori fino a 1,5 mm l’anno. La vetta di Montalto, la cima più elevata dell’Aspromonte (m. 1956) sarebbe alta circa il doppio se non vi fosse stato un forte tasso di erosione che ha vigorosamente smantellato parte del rilievo. La degradazione meteorica ha agito e continua a farlo con un meccanismo di alterazione chimica, favorita dal termoclastismo ed esaltata dal fatto che sono presenti rocce cristalline e metamorfiche, ricche in feldspati. L’acqua piovana, ricca di anidride carbonica, idrolizza questi sali e libera i silicati idrati di alluminio che costituiscono le argille. Il mare ha poi classato e sparpagliato questi depositi, trascinati dalle acque dilavanti, sedimentando al largo le particelle più fini. Queste, nell’era quaternaria, per il perdurare della spinta africana, sono comunque venute alla luce, rivelando fossili a profusione. In certi luoghi ascrivibili al Pliocene superiore, le faune a molluschi presenti denunziano un ambiente circalitorale di piccola profondità, ma nella stragrande maggioranza dei casi, queste argille, contenendo una miriade di spoglie di Foraminiferi (fanghi a Globigerine), attestano condizioni di mare aperto, caldo e medio-profondo (ambiente bati-pelagico), compreso fra i 500 e i 2000 m. di profondità. Tale limite, detto lisoclino o profondità di compensazione della calcite, è definito dall’abbondanza dei gusci di questi microrganismi. Costituiti da carbonato di calcio, nella forma stabile della calcite, questi resti calcarei sono favoriti nella loro formazione dalle acque tropicali o temperato-calde. A profondità superiori, dove la pressione ed il contenuto di anidride carbonica aumentano, mentre al contrario diminuisce la salinità e la temperatura scende sotto i 3°C, queste forme di carbonato solido si dissolvono, arricchendo indirettamente il sedimento di percentuali progressivamente maggiori di materiali silicei. Si ottengono così i fanghi a Radiolari e a Diatomee, che nei terreni in questione mancano del tutto. Per composizione queste marne sono identiche ai trubi, ovvero a quei calcari marnosi che si ritrovano in Sicilia negli stessi terreni del Pliocene. Il CORTESE riporta che in Calabria prendono il nome di "maremosca", ma che tale denominazione è limitata alla regione media, da Pizzo a S.Caterina dello Ionio ed è riservata solo alla parte più fortemente marnosa di esse. Poichè se ne poteva trarre una buonissima calce idraulica, a presa rapida come un cemento, risultarono a tale scopo, molto utili nei lavori della ferrovia ionica, nella regione sotto Davoli, S.Andrea, S.Caterina dello Ionio, ecc. In certi luoghi, specie dopo un acquazzone che ne ravviva la superficie, si presentano zonate a bande alterne di colore chiaro e di colore scuro. Le prime, formano stratificazioni in bancate che hanno aspetto massivo e che offrono una certa resistenza all’erosione. Ad un esame ravvicinato, si rivelano ricche di microgranuli che, per la preponderanza della componente argillosa, più silicea e micacea, contengono una minor proporzione di calcare. Le seconde, invece, finemente laminate, sono giallo-grigiastre, di aspetto più scuro e, assai più ricche in carbonato di calcio, offrono minor resistenza all’erosione. Appaiono perciò più scavate ed incise e scientificamente, definite "olistostromi", rappresentano materiale franato improvvisamente sul fondo del mare. Queste bande generalmente si alternano in spessori di 40-50 cm e, se talvolta possono anche essere più potenti, per il loro contenuto in microfossili, denunziano sempre la facies propria della zona batimetrica cui appartengono. Le stratificazioni, nettamente differenziate sulle pendici delle colline erose, sono una prova dei depositi millenari di materiali diversi legati al ciclo erosivo ed agli eventi tettonici, dove gli strati di recente apporto terrigeno si sovrappongono e si intercalano ad altri di facies più profonda. Nel Pliocene medio-inferiore, il sollevamento dei monti ed il contemporaneo abbassamento del livello del mare, provocava, ieri come oggi, l'accentuazione dell'attività erosiva sulle terre emerse e l'accumulo di sedimenti sul fondo del mare. Per l'attività orogenetica, si producevano piccoli o grandi movimenti franosi, che localmente si esplicitavano lungo il piano inclinato della scarpata continentale, specie dove la pendenza e il dislivello erano maggiori e ancor più intensi si ripetevano, dove la costa era formata da rocce poco consistenti. Dalle parti più alte del bacino i depositi marini superficiali, non ancora sufficientemente consolidati, che contenevano altresì grandi quantità di spoglie di Foraminiferi planctonici, per la perdita di equilibrio innescata da eventi sismici, alla ricerca di un più stabile assetto, per scivolamento gravitativo, si dirigevano così sui fondali più bassi, sovrapponendosi ai materiali preesistenti. Naturalmente, tra una frana e l'altra, proseguiva la deposizione normale dei sedimenti con accumulo di nuove specie fossili che, in una successiva condizione di instabilità, si mescolavano con lo stesso precedente meccanismo, a forme più vecchie e di diversa natura. La zonizzazione alterna è quindi da porre in relazione alla periodicità degli eventi che contrappone, in perenne lotta fra loro, gli aspetti esogeni a quelli endogeni. Comunque sia, si tratta di terreni formati da particelle infinitesime, di dimensioni inferiori ai 2 micrometri (=2 millesimi di millimetro) che, per la estrema piccolezza, sono strettamente appressate fra loro. La "morsa" degli elementi costitutivi ed il ruolo esasperato dell'irradiazione solare inducono severe condizioni ambientali che inibiscono lo sviluppo di piante superiori. Da qui una copertura rada, discontinua, a radici striscianti, a tratti erbacea e/o cespugliosa, nella quale prevalgono euforbie, composite, gramigne e capperi. Sporadicamente tra i cardi spinosi, appaiono i più tipici esponenti della macchia mediterranea, come l'oleandro e l'oleastro, ma fra tutti spiccano i ciuffi arbustivi di profumatissime e vivaci ginestre. Fanno loro compagnia, specie introdotte quali l'agave e il ficodindia, perfettamente ambientate e a loro agio nell'assolata calura estiva. Ma si tratta di eccezioni; la regola è una sorta di pionierismo che prelude alla precarietà dell'esistenza, legata al ciclo erosivo che sembra non avere mai fine.