I Terrazzi marini d'Aspromonte

28.03.2015 18:36

Il massiccio d'Aspromonte, sovente alla ribalta delle cronache di questi ultimi anni, è divenuto ormai tristemente famoso per numerosi e ripetuti episodi di delinquenza organizzata. Ma ben altro risalto meriterebbe la Montagna calabrese che ha attirato, fin dai secoli scorsi, l'attenzione di studiosi e amanti della Natura. Nè l'interesse si è ancora sopito, visto l'intensificarsi degli studi specifici e l'aumentata sensibilità nei confronti del mondo che ci circonda, sfociati, per quel che ci riguarda, nella istituzione del Parco Nazionale d'Aspromonte. Nelle cime dirute, nelle forre boscose, nei fianchi precipiti al mare, è infatti possibile cogliere aspetti di ambienti incontaminati e selvaggi, croce e delizia dei nostri tempi ! Paesaggio aspro quindi, come evidenzia il toponimo che, secondo alcuni autori, è da riferire all'aspetto imponente delle sue rupi bizzarramente erose. I versanti montuosi, notevolmente incisi dalle forze erosive, oppongono infatti mille difficoltà a chi voglia attraversarli da costa a costa, proteso com'è il territorio fra il Tirreno e lo Ionio. La montagna si erge poi in breve spazio, sin quasi a 2000 metri, con ripidi pendii, solcati da strette e profonde valli simili a canyons. Nude colline biancastre si stendono inoltre, a mò di cintura, sui versanti meridionali e orientali, affacciandosi al mare. Si tratta di lunghi profili contorti, spigolosi e mammellonati, costituiti da marne plioceniche e da calcari marnosi o dolomitici compatti e di conglomerati pliocenici e quaternari, bianchi e giallo-grigiastri, comunque chiari, con i quali probabilmente, secondo altri autori, fu identificato il massiccio d'Aspromonte. Per l'Isnardi infatti il nome discenderebbe dal gr. aspros = bianco e cita come esempio, il fiume bianco, l'Aspropotamo della Grecia medioevale, l'Acheloo dell'età classica. Il Lacquaniti, pur mantenendo la stessa radice etimologica, la ritiene invece strettamente connessa con le precipitazioni nevose che d'inverno, sul massiccio cadono abbondanti e persistono fino a primavera avanzata. Comunque sia, bastano questi pochi cenni a farci capire la varietà di aspetti, il caleidoscopio di immagini che la natura è in grado di offrire al visitatore e perchè di recente, nell'ambito di una più diffusa coscienza naturalistica, siano sorti vari movimenti di opinione che si preoccupano della tutela e della valorizzazione di questo paesaggio. Solo qui è infatti possibile osservare aspetti geologici e geografici caratteristici che si integrano felicemente con la flora e con la fauna in un reciproco ed armonico equilibrio di forme e colori. L'assetto geologico condiziona notevolmente la geografia del territorio e rivela come questa zona costituisca il punto di massima torsione e compressione fra l'Africa avanzante e la piattaforma europea. La spinta possente ha provocato il sollevamento del Massiccio aspromontano, accompagnato da imponenti fenomeni di diastrofismo (= distorsione). Nè l'urto accenna ad esaurirsi, tanto che la montagna continua ad innalzarsi, pur rimanendo collegata ai Peloritani per la presenza di una sottile striscia di terra, ribassata da fratture (Stretto di Messina). I caratteri litologici e strutturali delle masse rocciose evidenziano le tormentate vicende tettoniche cui sono state sottoposte, talchè l'edificio aspromontano si presenta particolarmente alterato e interessato, fino a notevole profondità, da manifestazioni disgiuntive. Queste sono vieppiù accentuate dalla degradazione meteorica che contribuisce a modellare il paesaggio, esplicandosi con maggiore intensità sulle aree più elevate e procedendo di pari passo con il moto di emersione tuttora in atto. Quanto più le forze tettoniche comprimono e sollevano, tanto più gli agenti erosivi frantumano e sgretolano, smantellando il rilievo ad una velocità di poco inferiore a quella del sollevamento. Ne conseguono in tal modo, fenomeni di arenizzazione e di argillificazione, che formano depositi incoerenti, facile preda delle acque selvagge scorrenti in superficie. Si creano così squarci rovinosi, che rodono e scalzano i fianchi del rilievo, trascinando con impeto ciottolame e grandi ammassi di materiale roccioso disfatto. I detriti, accumulati in basso, ai margini delle terre emerse, sono poi gradati e sparpagliati dal mare che forma ampie piattaforme costiere. Perciò l'Aspromonte si presenta oggi come un acrocoro, di impianto pentagonale, dalla cui cima si dipartono a raggiera, aprendosi a ventaglio verso il mare, i solchi fortemente dirupati dell'incisione valliva di numerose fiumare. La porzione sommitale, al di sopra di 1300 m., è formata da un certo numero di rilievi "cristallini", dalle linee addocite e tondeggianti, che contrastano con le forme collinari presenti nelle zone costiere. Queste, formate da accumuli sedimentari, orlano le pendici meridionali e occidentali delle giogaie aspromontane e si dispongono a guisa di ampie superfici terrazzate. Come gradini (pianalti) si succedono a diverse altezze e da 1200-1300 m.di quota, scendono a mò di balconi, fin sulla costa. Sulla loro origine, in passato, si è molto discusso e nuovi interrogativi continuano a presentarsi. Alcuni studiosi sono dell'opinione che possa trattarsi di residui di un'unica superficie di erosione continentale, smembrata da faglie a gradinata e successivamente sollevata (L. Ogniben, 1969). Non va però dimenticato che molti di questi terrazzi sono di chiara origine marina, contenendo a profusione spoglie fossilizzate di specie un tempo viventi in fondo al mare. Si tratta di forme significative di età, di ambienti (facies) e di climi diversi, di cui si è già detto in abbondanza e che testimoniano importanti momenti nella storia evolutiva di questa regione. Non di rado inoltre, queste "rive" recano impresse le tracce dell'azione erosiva dell'onda battente e spesso è ancora possibile osservare l'azione perforante di alcuni organismi marini litodomi o litofagi. Appare perciò più plausibile l'idea che si tratti di spianate di abrasione marina, intagliate ai fianchi di un rilievo in rapida risalita e in rapida erosione. Altri sono del parere che il movimento ascensionale è avvenuto a scatti che, a partire da un non meglio identificato momento del Pliocene Superiore, ha come "cristallizzato", a più riprese, le antiche spiagge. L'ipotesi più recente, in pieno accordo con i fatti su esposti, porta a ritenere che la continua emersione, che ha interessato la sponda calabra dello Stretto di Messina, sia stata " accompagnata da fasi distensive che hanno determinato successivi, parziali abbassamenti delle porzioni marginali del massiccio, secondo un meccanismo a semigraben" (L.Bonfiglio,1986). A sostegno di questa ipotesi v'è da dire che le scarpate dei gradini, localmente denominate "petti", coincidono talvolta con i piani di faglia, corrispondenti ad una ripresa dei moti di emersione. Queste formazioni, anche se non possiedono notevole estensione, perchè dislocate solo in certi punti del perimetro costiero, pure rivestono grande importanza perchè rivelano in che misura il territorio è stato interessato dai movimenti epirogenetici ed indicano altresì i grandiosi mutamenti climatici del Pleistocene. Già nell'ultimo scorcio del Terziario si nota un deterioramento climatico che conduce progressivamente alla prima fase glaciale dell'era successiva: la Quaternaria. Di queste fasi, negli ultimi due milioni di anni, pare che ne siano avvenute cinque, intervallate da periodi (interglaciali) a clima più mite o caldo addirittura. Durante le glaciazioni -che hanno interessato peraltro tutto il pianeta- l'aumentato spessore delle calotte polari faceva abbassare il livello marino (regressione) mentre, al contrario, esso si alzava (trasgressione), negli stadi interglaciali. Queste variazioni di livello sono indicate dagli studiosi come " glacio-eustatiche " e, nell'Aspromonte, si sovrappongono a quelle ben più cospicue, " tetto-eustatiche" dei movimento di sollevamento. Come si è già detto infatti, l'innalzamento del rilievo, creava man mano una serie di gradini che espongono oggi in bell'evidenza le spiagge e gli antichi fondali ed i cui sedimenti, sono oggi ricchissimi di fossili. Tra le argille e le sabbie dei periodi glaciali si rinvengono perciò forme indicatrici di clima temperato-freddo, fra cui molluschi immigrati nel Mediterraneo dalle provincie boreali atlantiche (ospiti celtici o nordici) e nel contempo, scompaiono molte specie termofile plioceniche. Si riconoscono in tal modo: Cyprina islandica, Tellina balthica, Yoldia arctica e Natica groenlandica, i cui nomi specifici arctica, groenlandica, islandica e balthica, da soli bastano ad evocare i rigori climatici dell'epoca. Devono essere stati davvero periodi di grande freddo, se l'ultimo di essi, il più lungo (la glaciazione wurmiana), ha spinto da queste parti un uccello nordico simile ad un pinguino (Alca impennis, sin. Pinguinus impennis), oggi estinto, che viveva in fitti branchi lungo le coste dell'Atlantico settentrionale. Questo reperto è di eccezionale importanza, sia per il valore paleoclimatico, sia perchè è il terzo ritrovamento fossile di questa specie, rinvenuta nel bacino del Mediterraneo, che colloca il giacimento di Archi a Reggio Calabria, accanto a quelli di Gibilterra e di Grotta Romanelli presso Otranto. Il che fa supporre che questa specie, che raggiunse le coste dell'Italia meridionale durante la più intensa glaciazione quaternaria, doveva essere anche abbastanza diffusa e qui, certamente stanziaria. Nell'ultimo periodo interglaciale, compaiono viceversa faune di tipo caldo-tropicale con elefanti e ippopotami e, nel mare, molluschi immigrati dalle coste dell'Africa nord-occidentale (ospiti caldi o senegalesi). Tra questi, lo Strombus bubonius, il Cymatium ficoides e la Bursa pustulosa, estinte nel Mediterraneo attuale, ma ancor oggi viventi presso le Isole del Capo Verde, sulle coste delle Canarie e lungo i lidi dell'Angola, della Guinea e della Mauritania. Il ritrovamento di cervi nani nelle sabbie terrazzate di Bovetto (RC), tra i depositi coevi di questa fase calda, offre poi lo spunto per ulteriori, interessanti considerazioni. Per il grande espandersi dei ghiacci delle calotte polari, il diminuito livello del mare aveva messo allo scoperto vaste porzioni di territorio e ciò consentì ondate migratorie di specie che guadagnarono i nuovi spazi, utilizzandoli come "ponti" per accedere ad aree altrimenti irrangiungibili o per insediarvisi addirittura. Numerose faune, sotto il terribile morso del gelo che si andava approssimando, cercarono scampo nelle zone più favorite del meridione e, giunte nell'area dello Stretto, approfittarono delle zone emerse per passare in Sicilia e arrivare così sempre più a sud. Quando nei periodi caldi, il livello delle acque tornò a crescere per la fusione quasi totale degli grandi ammanti di ghiaccio che ricoprivano le distese dell'Europa settentrionale e l'arco alpino e appenninico, il mare sopravanzò di circa 100 metri, sommergendo alcune zone e isolandone altre. Scomparve perciò definitivamente nel nostro Stretto, reso molto più ampio di quanto non sia oggi, ogni forma di collegamento con la Sicilia. L'Aspromonte rimase nuovamente isolato e le forme che l'abitavano, in mancanza di scambi genetici, per evoluzione regressiva, divennero nane. Nei depositi di Bovetto si può leggere questo andirivieni delle acque, attestato dai resti dei cervidi pigmei, il primo dei quali è indicato dagli studiosi come Megaceros calabriae ed il secondo, ancora più piccolo, è noto come Praemegaceros bovettensis. Questi pochi cenni basterebbero a tracciare le evidenze di questi terreni, ma è la loro conformazione a terrazzi che sottolinea l'importanza di un territorio che, da questo punto di vista, è considerato uno dei più caratteristici del Mediterraneo. Ai primi del '900 un generale d'artiglieria, il francese De Lamothe studiò per hobby e tracciò le carte delle terrazze d'Algeria, individuandone tre, situate a 12, a 7 e a 3 metri sul livello del mare. Nell'Aspromonte, invece, questi pianori sono più elevati e si presentano esposti meglio sul versante tirrenico per l'incombente presenza dell'acrocoro mentre, sul versante ionico, declina più dolcemente, con una pendenza di circa 8/10. L'ultimo dei terrazzi, il più alto e il più antico, è tanto più sollevato, quanto più si procede verso sud. Il più giovane, il più basso di essi, corrispondente all'ultimo interglaciale, si trova a sud di Reggio, ad una quota di circa 150 metri. Tutto ciò prova l'entità del forte dinamismo tettonico che ha sollevato la Calabria meridionale, paragonabile solo a quanto è avvenuto e avviene in Anatolia e in alcune regioni greche che si affacciano sullo Ionio (Istmo di Corinto). Sulle pendici occidentali d'Aspromonte è possibile osservare cinque grandi ordini di spianate cui in genere, compete il nome di " Piani" , per gli orizzonti più alti e quello di " Campi", per i più bassi. Forse quest'ultimo termine deriva dal fatto che tali pianure erano le più adatte per gli insediamenti agricoli ed erano coltivate sin dal Medioevo; ma poi, localmente, ciascun orizzonte ha il suo nome particolare. - Nell'ultima serie, posta fra i 970 e i 1300 m. di altezza, sono compresi i veri e propri Pianalti d'Aspromonte che circondano il cacumine del massiccio (Montalto, 1956 m.). Si riconoscono: i Campi di Reggio e di Sclanù, i pianori di Zervò, di Carmelia, di S.Agata e di Gambarie. - Compresi fra i 750 e 820 m. di altezza, si stendono i Piani di Melia di Scilla e quelli di S.Elia, sopra l'abitato di Vinco. - Il terzo ordine di spianate comprende i Piani della Corona, a monte di Bagnara e i terrazzi di Ortì e di Terreti, sopra Reggio, stesi fra i 520 e i 650 metri di quota. - A 300-400 m. di altezza, incontriamo la seconda serie, dove si riconoscono i pianori di Matiniti, di Botte, di Condera e di Mosorrofa. - Chiudono la serie, in basso, i più recenti terrazzi quaternari di Trombacà, di Bovetto e Saracinello, posti a 120-170 m. di altezza. E' facile supporre che l'attuale linea di spiaggia rappresenta il più giovane di questi terrazzi, ancora in via di formazione, che sarà pur esso innalzato e portato allo scoperto, come quelli che lo hanno preceduto, almeno fintantochè il nostro pianeta " vivente" , continuerà ad agitare la crosta africana.