Paleontologia
Spesso in Calabria si sono avute notizie di importanti ritrovamenti fossiliferi ma, trattandosi di avvenimenti di esclusivo interesse specialistico, sono risultati finora misconosciuti ai più.
Anni di ricerche e di scavi sistematici, fin dal secolo scorso, hanno portato alla luce ossa di elefanti di grandi dimensioni, cui si aggiungono resti di cervidi, di ippopotami e rinoceronti. Più di recente, nel rilievo collinare intorno a Reggio, alcuni studiosi hanno rinvenuto le ossa di un uccello simile ad un pinguino, oggi estinto e perfino una mandibola di tipo neanderthaliano.
È dal 1647 (Agostino Scilla) che i fossili calabresi hanno attirato l’attenzione degli studiosi e, nell’800, insigni naturalisti di varie scuole geologiche, come il messinese G.Seguenza, hanno raccolto e studiato le numerosissime specie rinvenute. In quel secolo, si sono succeduti gli studi e le ricerche di studiosi illustri come Philippi, Costa, Brocchi, Mantovani. Il '900 ha visto poi affacciarsi altri eminenti personaggi del calibro di De Stefani, De Stefano, De Cristo, Gignoux, Cortese, tanto per citare i più importanti e così via, sino ai nostri giorni.
Purtroppo, numerose calamità, come il sisma del 1908, prima, e le vicende belliche, poi, hanno disperso o distrutto i frutti di queste fatiche di cui rimangono oggi poche tracce negli annosi volumi delle biblioteche universitarie. Nè è possibile ricostituire le collezioni originarie disperse, giacché molti di quegli orizzonti fossiliferi, sono stati obliterati dal tempo e dalle urgenze dell’uomo.
Se da un lato però dobbiamo essere grati all'opera degli studiosi per aver portato alla ribalta del mondo scientifico internazionale le località del Reggino, come Archi, Mosorrofa, Terreti, Ortì, Bovetto, Condera, Spirito Santo ecc., d'altro canto dobbiamo lamentare la perdita o l'allontanamento di gran parte del prezioso materiale trovato.
Bisogna pure considerare come a Reggio manchino strutture in grado di accogliere adeguatamente e valorizzare questi reperti che fanno oggi bella mostra di sé altrove, nelle vetrine dei musei più attrezzati, fuori dalla Calabria. In atto, numerosi gruppi di ricercatori accademici, appassionati o semplici curiosi visitano i nostri luoghi e, metodicamente, prelevano materiale per studio o collezione che poi trova definitiva dimora fuori dalla Calabria e, comunque, resta tagliato fuori dall'osservazione e dalla fruizione diretta da parte dei calabresi.
In questi ultimi anni però si sta assistendo ad una sempre maggiore sensibilità del grosso pubblico verso i problemi della Natura, il che ha consentito la nascita di vari movimenti di opinione e la formazione spontanea di una coscienza naturalistica.
E’ appena il caso di ricordare poi, come da un fatto casuale, quale può essere l’incontro con i fossili, traggono le mosse discipline quali la paleontologia, la stratigrafia e la tettonica, che si occupano della formazione e dell’assetto della crosta terrestre. Da esse discendono studi di mineralogia, di petrografia, di sedimentologia e di pedologia che, più concretamente, conducono alla sismologia ed alla geologia applicata. Ciò a riprova del fatto che solo conoscendo le forme del passato, è possibile interpretare meglio le realtà del presente.
Ma tutto ciò potrà avvenire solo a condizione che questo patrimonio non vada disperso o risulti alienato. I giovani reggini debbono essere consapevoli dell'esistenza e dell'importanza di tali ricchezze, anche nell'ottica di un loro futuro professionale e/o di sbocchi occupazionali, volti alla conservazione, alla tutela, alla valorizzazione ed allo studio di questo tipo di risorse ambientali.
Fatta eccezione per i nuclei cristallini aspromontani, Reggio e la sua provincia si stendono su potenti assise sedimentarie addossate al rilievo appenninico. Esse rappresentano antichi fondali marini, interessati a più riprese da un lento ma incessante moto di emersione, ancora in atto.
Il sollevamento è stato così cospicuo che le remote linee costiere e i preistorici fondali, appaiono oggi fin oltre i 1000 metri di altezza. Fino a tali quote infatti si rinvengono in abbondanza gusci conchigliari di Molluschi e di Brachiopodi, scheletri di Madrepore e Coralli, piastre ed aculei di Echinodermi. Non mancano resti di Pesci, di Crostacei, di Vermi, di Briozoi e perfino ossa di mammiferi marini quali Sirenidi (Dugongo ?) e Cetacei.
Un patrimonio incommensurabile che, collezionisti, studiosi e raccoglitori vari, hanno sottratto alle pressanti esigenze dell’edilizia e dell’agricoltura, salvaguardandolo così dalla distruzione.
A mò di esempio, si riporta che il 6 Sett. 1970, nella zona di Archi S.Francesco, ai piedi della collina di Pentimele, sulla sponda sinistra del Torrente Fiumetorbido, nel corso di rilievi e di scavi sul terreno, eseguiti con il contributo del C.N.R., alcuni studiosi dell’Università’ di Messina hanno rinvenuto:
- una mandibola infantile (attribuibile ad un bimbo di 5 o 6 anni di età) di tipo neanderthaliano; il reperto di questo ominide primitivo si colloca intorno a 100.000 anni or sono. Apparve infatti in un periodo a clima caldo detto Tirreniano e sopravvisse fin dopo l’ultima glaciazione,la più lunga e la più intensa. Secondo la cronologia geologica è da collocarsi tra il Tirreniano ed il Wurm I o, il che è lo stesso, nel Paleolitico medio (secondo la cronologia storico-protostorica), tra il Musteriano caldo e il Musteriano freddo (fase avanzata del Wurm I).
- l’estremità prossimale di una tibia di Alca impennis (sin. Pinguinus impennis); è questo alciforme un uccello marino tuffatore, dai piedi palmati, con ali corte atte al nuoto ma non al volo, molto simile nell’aspetto al Pinguino per la colorazione e la caratteristica deambulazione con posizione eretta. Specie nordica, già vivente in fitti branchi lungo le coste dell’Atlantico settentrionale, purtroppo estintasi in Islanda nella prima metà del secolo scorso (1844). Gli si dava infatti una caccia spietata per la morbidezza delle sue piume, usate per confezionare cuscini.
Questo reperto è di eccezionale importanza, sia per il valore paleoclimatico, sia perchè è il terzo ritrovamento fossile di questa specie rinvenuto nel bacino del Mediterraneo, dopo quello di Gibilterra e di Grotta Romanelli in terra d’Otranto, il che fa giustamente supporre che durante l’ultima, grande glaciazione, questo uccello raggiunse e si diffuse lungo le coste dell’Italia meridionale e qui divenne certamente stanziale, inserendosi in un paesaggio dall’aspetto subpolare.
- resti di corna, solide, qualcuno anche ramificato, riconosciuti come appartenenti a Cervidi: Megaceros sp. e Cervus elaphus. Il primo è un gigantesco cervide, detto anche Alce irlandese, alto quanto un cavallo dall’enorme palco di corna, largo anche 3,50 metri, oggi estinto. Il secondo invece tuttora vivente, tipico delle foreste europee e dell’Asia Minore; indigeno in Sardegna ove vive una forma più piccola (Cervus elaphus corsicanus) in via di estinzione.
- resti di Dicerorhinus merckii JAGER e KAUP, antico rinoceronte abitatore di foreste e savane.
- difese (zanne),corpi vertebrali ed ossa di Elephas antiquus (Paleoloxodon antiquus FALC.-italicus OSB.); elefante adattato a vivere in foreste e savane assieme al Rinoceronte di Merck ed estintosi con esso all’inizio dell’ultima glaciazione, dopo una lunga apparizione che risale al II periodo interglaciale, circa 300.000 anni fa. Altri autori fanno risalire la sua comparsa addirittura al I periodo interglaciale cioè a circa 550.000 anni or sono. L’eccezionalità del ritrovamento sta nelle dimensioni gigantesche dei resti: basti pensare che una delle zanne misura ben 3,20 metri !!!
- resti dell’antenato dei nostri bovini domestici : il Bos primigenius BOJ o Uro; gigantesco animale, noto ai Cretesi e sopravvissuto in epoca storica sino ai romani.
- resti di Ippopotamus sp. (amphibius ?).
Tutte queste specie tropicali o comunque temperato-calde, stanno a testimoniare che sotto il terribile morso del gelo che si andava approssimando, la fauna calda delle epoche precedenti, arretrò verso sud, dove cerco scampo nelle zone più miti del meridione, non senza lasciare del resto, sulla strada della ritirata, molte specie che scompaiono per sempre all’inizio della glaciazione, perché mancando ogni comunicazione, non riuscirono a raggiungere le calde terre dell’Africa. Scompaiono così per sempre dalla nostra regione l’Elefante antico, l’Ippopotamo e il Rinoceronte di Merck.
Altre specie si adatteranno rifugiandosi nelle caverne il cui riparo contenderanno all’Uomo o condivideranno con lui per tutta la durata della glaciazione. Alcune specie sopravvissero con forme che per evoluzione regressiva divennero nane, come il Megacero di Bovetto; quasi un estremo quanto inutile tentativo di sopravvivenza, per mimetizzarsi e così sfuggire tra il freddo, alla vorace attenzione dei loro antagonisti, tra i quali, il più temibile: l’Uomo !
Il cervo nano di Reggio si inserisce così, a buon diritto, tra la fauna nana in generale del sud d’Italia e delle Isole. Nelle zone meridionali, in Sicilia e a Malta si rinvengono, infatti, degli scheletri d'elefanti, alti solo 85 cm, che segnano le tappe dello sviluppo e della loro progressiva involuzione; si ritengono, infatti, discendenti degenerati di Elephas antiquus.
Così dall’Elephas mnaidriensis, alto circa 2 metri si arriva agli 85 cm dell’Elephas falconeri. (Nella grotta di Spinagallo, nei pressi di Siracusa, é stata trovata un’intera famigliola -4 esemplari- di quest’ultima specie, il cui neonato misura appena 33 cm.).
Nello stesso tempo, dal nord e dalle altitudini montuose, dilagarono verso le pianure meridionali e fino al mare Mediterraneo, ricche popolazioni di animali a clima freddo come l’Alca impennis e il rinoceronte lanoso (Rhinoceros tichorhinus).
Queste ondate migratorie di faune calde (ospiti senegalesi) e di forme fredde (ospiti nordici, celtici o boreali) si succedettero alternativamente in risposta alle glaciazioni e ai periodi caldi interglaciali, che sortirono effetti anche sulle variazioni del livello marino, con la conseguenza che, dalle nostre parti, l’area dello Stretto di Messina, doveva necessariamente avere un aspetto molto dissimile dall’attuale.
Certamente doveva presentarsi molto più grande di quanto non lo sia oggi, durante le fasi interglaciali. In questi periodi infatti, il livello marino si innalzò di quasi 100 metri per la fusione quasi totale delle calotte polari e per lo scioglimento degli estesi ammanti di ghiaccio che ricoprivano le distese dell’Europa settentrionale e dei ghiacciai dell’arco alpino ed appenninico:
Durante i periodi glaciali invece, l’area dello Stretto dovette restringersi di molto per la grande espansione dei ghiacciai che sottrassero enormi quantità d’acqua al mare immobilizzandole per la formazione delle calotte polari.
Se poi, al movimento di andirivieni delle acque (oscillazioni eustatiche), si aggiunge anche il sensibile movimento di sollevamento del territorio -che dura anche ai nostri giorni -, il risultato è rappresentato dalla esposizione delle spiagge fossilifere alle quote attuali.