Farfalle d'Aspromonte
Un incontro imprevisto
Per trovarsi veramente “faccia a faccia” con la Natura, non c’è niente di meglio che andare a piedi. Si può godere un mondo anche solo camminando tra i campi o nei boschi, magari rivisitandoli in diversi periodi dell’anno, per vedere le trasformazioni ambientali. Non occorre conoscere i nomi di tutte le piante e di tutti gli animali che si vedono, sebbene poterne identificare qualcuno aumenti il piacere del divertimento: quasi si tratti di un amico ritrovato.
Soffermandosi di tanto in tanto, all’ombra di un albero, magari vicino ad un ruscello o ad una pozza d’acqua, si ha netta la sensazione di vivere “immersi” nella Natura e si contempla lo spettacolo: possiamo apprezzare i colori del paesaggio, assaporare le tiepide giornate primaverili e cogliere il canto degli uccelli; in piena estate, poi, sarà facile ascoltare il continuo e assordante frinire delle cicale, oppure osservare l’elegante battito d’ali di una farfalla e seguire il suo leggiadro, incessante svolazzare.
È quanto m’è capitato in un giorno d’agosto di qualche anno fa, mentre girovagavo nella Piana, fra Rosarno e Gioia Tauro.
Reso guardingo dal furioso latrare di cani in lontananza, avevo chiesto ed ottenuto il permesso di visitare i lavori di sbancamento di un vasto fondo agricolo, in parte già adibito a frutteto. Accompagnato dal titolare dell’azienda, gentilmente resosi subito disponibile, una volta appresa la ragione della mia presenza nella sua proprietà, andavo discorrendo amabilmente con lui di facezie, non trascurando però di lanciare sguardi investigativi d’attorno alla ricerca di eventuali resti fossili.
L’occhio spaziava dal terreno, dove poggiavo i piedi, alle rocce circostanti che delimitavano un grande spiazzo centrale dove erano state poste a dimora varie essenze di agrumi pregiati (aranci della cultivar “Washington Navel”, come ebbi modo di appurare in seguito) distribuite in ordinati filari.
Quel giorno però, qualcosa di insolito distrasse la mia attenzione: nugoli di moscerini si levavano come impazziti da un tappeto di pesche, a terra, in putrefazione e, su di essi, volteggiavano quelle che in apparenza sembravano essere due piccole foglie secche, color tabacco.
Ma queste, non poggiavano alfine lentamente al suolo, anzi evoluivano in continuazione nell’aria immota e dolciastra, quasi rincorrendosi a vicenda, con rapidi movimenti sincroni e circolari. Incuriosito, mi avvicinai più dappresso ed ebbi modo di notare che si trattava di due farfalle dalla livrea marrone scuro vellutata. Mi ero imbattuto in una vera e propria chicca del mondo dei lepidotteri: si trattava della Charaxes jasius.
Dovete sapere che questo magnifico esemplare, senza alcun dubbio tra le più belle farfalle d’Europa, é l'unico rappresentante in Italia di un genere largamente diffuso nelle contrade tropicali asiatiche e africane.
La sua diffusione nel nostro paese è però discontinua, “a macchia di leopardo” e perciò risulta abbastanza rara e localizzata; non solo è difficile avvistarne una, figuriamoci due assieme ! Da qui la sua preziosità.
V’è pure da aggiungere che si tratta di specie molto competitiva e dal forte istinto territoriale che passa il suo tempo a controllare indefessamente il territorio scacciandone qualsiasi insetto vi entri e provando a rincorrere addirittura delle libellule ed ogni altro intruso, uccelli compresi. Qualche autore riferisce pure che, talvolta, la Charaxes esercita il suo controllo in modo così impavido da riuscire a posarsi perfino sull’uomo, visitatore occasionale delle sue zone di sfarfallamento.
Evidentemente, tra le due che avevo visto rincorrersi, era in atto una guerra per il possesso di quello spazio!
CARATTERI
Forma xerotermofila, vanta ascendenti diretti di lontana origine tropicale, che esistevano da queste parti quando il clima era più caldo dell’attuale. Specie relitta, come testimonia l’areale di distribuzione, è oggi la sola specie della sua famiglia ad essere sopravvissuta alle nostre latitudini, riuscendo a resistere ad onta dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento e del degrado ambientale.
Non si spinge su, in alto, nelle zone montuose, ma frequenta le radure della macchia mediterranea, dal livello del mare fino a circa 600 metri di altezza, senza, peraltro, allontanarsi mai per più di qualche chilometro dalla costa.
Con un’apertura alare complessiva di circa 8 cm (38-41 mm per lato), si esibisce in un volo robusto e instancabile, attratta irresistibilmente dal forte odore della frutta matura da cui sugge i succhi zuccherini, srotolando una lunga lingua piatta (spirotromba).
Descrizione: Le femmine sono più grandi e appariscenti dei maschi; hanno una livrea marrone scuro vellutata, sulla quale spiccano larghe fasce gialle ai margini delle quattro ali e macchiette semilunari azzurre sulle ali posteriori.
Più esattamente, le ali anteriori, brunastre e dal bordo concavo, hanno la pagina superiore ravvivata da una fascia marginale giallo-aranciata, percorsa da nervature nere con una serie di spazi premarginali sfumati dello stesso colore.
Le ali posteriori hanno un bordo denticolato nero ed ognuna di esse è provvista di due piccole “code” nerastre. Esse pure presentano una larga fascia marginale arancio sfumata di giallo, attraversata dalle nervature nere. Dietro questo bordo, al livello delle code, si distinguono alcune macchie azzurre.
La pagina inferiore, sia delle ali anteriori, sia di quelle posteriori, evidenzia invece complicati disegni a strisce variamente colorate, nelle quali dominano il bruno, il rosso e il bianco e sono presenti bande spezzate di un grigio-violaceo.
Ad un così regale aspetto, tuttavia, fanno riscontro gusti tutt'altro che raffinati nella ricerca del cibo. Più di uno studioso riporta, infatti, che gli esemplari adulti della Charaxes sono soliti posarsi anche sullo sterco, che ammorbidiscono, dapprima, con il liquido anale, per assorbirlo, poi, per mezzo della spirotromba.
Biologia: Trascorre tutto il periodo invernale allo stadio di larva nutrendosi quasi esclusivamente delle foglie del corbezzolo (Arbutus unedo), -anche se talvolta vive pure sugli agrumi- e perciò viene comunemente chiamata Caraxe o Ninfa del corbezzolo.
Presenta due generazioni annuali: la prima sfarfalla in maggio/giugno; la seconda, più numerosa, dalla fine di agosto a settembre/ottobre.
Anche allo stadio larvale ha un aspetto originale e, tutto sommato, elegante. Infatti il bruco della Charaxes jasius, molto attivo durante le ore notturne, é un verme verde, appiattito, che possiede una sorta di elmo verde sul capo, sormontato da 4 caratteristici cornetti rossi e con due vistose macchie dorsali colorate di giallo, di azzurro e di nero. Questo particolare travestimento serve a mimetizzarlo perfettamente con le foglie della pianta nutrice.
Distr. geogr.: È presente lungo le zone costiere europee ed africane del Mediterraneo e sulle coste atlantiche della penisola iberica. Nell’Africa tropicale vivono due sottospecie distinte. In Italia si rinviene nelle isole del Tirreno e, nelle zone pianeggianti e boschive di tutta la Penisola lungo tutte le coste ioniche e tirreniche fino alla Liguria. Pare che manchi sul versante adriatico, mentre sembra essere più frequente in Sicilia, almeno lungo le coste settentrionali, a modeste altitudini.
Conclusioni: Ritengo che godere del volo di una farfalla così bella, solitaria e genuina testimone di una schiatta principesca, è come inebriarsi alla vista e al profumo dei fiori. Personalmente ho tratto grande compiacimento dall’osservazione, cui ha fatto seguito un ulteriore approfondimento.
Quella circostanza, pur distraendomi da altre faccende, mi ha però regalato un ottimo diversivo, sicuramente tra i più gradevoli e soddisfacenti, giacché l’incontro era del tutto inatteso e il caso ha come voluto concedermi un momento di riflessione per fantasticare sul «tempo che fu».
Ecco la straordinaria valenza della natura: dedicarsi ad essa costituisce un’importante “valvola di sicurezza”, specie per chi vive giorno dopo giorno nelle aree urbane, in spazi artificiosi e soffocanti. I pressanti ritmi di lavoro, gli orari esasperati non fanno che accentuare il desiderio del ritorno ad una vita all’aria aperta ed il bisogno di conoscere, comprendere e approfondire i fatti e i fenomeni naturali, diviene più intenso e impellente.
Ci si può appassionare agli aspetti geografici o geologici del paesaggio e indagare il territorio in relazione alle rocce circostanti; si possono correlare le varie comunità di piante con i diversi tipi di terreno e le qualità del substrato, si può avvicinare e osservare una particolare specie di pianta e i vari animali ad essa associati, o ci si può appressare ancora di più e studiare la biologia di un fiore o di un insetto in particolare.
I campi di indagine non mancano, sol che si trovi il tempo e la volontà di fare !
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Il Parnaso in Aspromonte
Voglio oggi presentarvi brevemente una farfalla, ospite delle montagne calabresi, il cui stile di vita aggiunge un altro importante tassello ai fini dell'esatta cognizione delle vicende geologiche, paleoclimatiche, succedutesi nella nostra regione.
La storia di un territorio, per essere pienamente compresa, necessita di parecchi contributi che, di volta in volta, sono forniti da discipline quali la tettonica, la stratigrafia, la paleontologia, per restare sempre nell'ambito delle Scienze della terra. Non bisogna però dimenticare che i dati raccolti, devono trovarsi, non solo in pieno accordo fra loro, ma devono avere preciso riscontro anche nelle discipline collaterali, fra le quali, non ultima, vi é l'ecologia e la paleoecologia.
Nell'era quaternaria, durante le glaciazioni, di certo, anche il rilievo calabrese rimase coinvolto dalle fasi glaciali (ma la questione é ancor oggi dibattuta, perché non sono state definitivamente acclarate le tracce di un glacialismo aspromontano).
Gli orizzonti più bassi (pianalti o campi), se non proprio coperti di ghiacci, erano comunque soggetti a condizioni climatiche assai rigide, simili a quelle riscontrabili attualmente nella penisola scandinava.
Quando gli estesi ammanti nevosi cominciarono a sciogliersi ovunque, gli organismi animali e vegetali che si erano adattati ai rigori climatici, cominciarono a migrare verso nord, seguendo la ritirata delle coltri glaciali, oppure, si isolarono nelle zone montane più fredde delle regioni meridionali.
Molti animali e molte piante, attualmente limitate a certe zone dell’arco alpino e appenninico, sono in realtà organismi sub-artici che sono rimasti bloccati su queste isole montuose, lontani dal loro habitat originario. L’isolamento geografico di queste popolazioni montane ebbe, di conseguenza, effetti rilevantissimi sulla diffusione delle specie animali e vegetali e sulla loro evoluzione.
Un chiarissimo esempio di ciò ci viene offerto dai Parnassi (gen. Parnassius), tipiche farfalle di montagna, rappresentate in Europa da tre specie, con un ragguardevole numero di sottospecie e forme locali, molto affini tra loro, ognuna delle quali per lo più esclusiva e caratteristica (endemica) di una determinata zona montuosa.
Queste si caratterizzano per avere tutte in comune una livrea alare, bianca o bianco-giallastra, sulla quale spiccano macchie nere e rosse, il cui numero e la cui disposizione variano da specie a specie.
Ciascuna specie é suddivisa, poi, in numerose sottospecie.
A causa delle somiglianza climatica esistente tra le zone in quota e le latitudini più settentrionali, l’areale di questo papilionide é molto vasto, seppur disgiunto: P. apollo apollo LINNEO, é la specie tipica, esistente in Svezia, mentre nella penisola iberica é presente P. apollo hispanicus, OBERTHUR (la maggiore per dimensioni fra le tante razze e sottospecie) e P. apollo nevadensis OBERTHUR nella Spagna meridionale.
In Italia, la P. apollo é specie comune e diffusa in tutta la catena alpina dove vive frammista alle congeneri Parnassius phoebus (= P. delius) e Parnassius mnemosyne.
La P. phoebus é la specie più alpina di tutte; vive infatti solo sulle Alpi (fra i 1500 e i 2600 m. di altezza), dal Piemonte alle Dolomiti. E' anche chiamata "piccolo apollo" per le ridotte dimensioni e la sua forte somiglianza con la più nota P.apollo, ma é specie ancor più legata di questa all'ambiente di montagna.
La seconda specie, la P. mnemosyne, si distingue dalle altre due per la diversa livrea alare e per le sue ridotte dimensioni, ma non vive ad alte quote.
Ma fra tutte, é la P. apollo, ad essere quella più comune dalle nostre parti. E' presente sia sulle Alpi che sugli Appennini dove e perviene sino all’Abruzzo. Manca del tutto in Sardegna.
Più a sud si trova solo con discontinuità, in Sila e nell’Aspromonte (dove é presente la sottospecie P. apollo pumilus STICHEL) e giunge fino in Sicilia, sulle Madonie, con una razza di piccole dimensioni, indicata come P. apollo siciliae OBERTHUR.
Secondo molti entomologi la Parnassius apollo é considerata specie di antichissime origini che pare risalgano addirittura all’era Terziaria e ciò ha veramente dell’incredibile solamente se si pensa come questo piccolo essere possa essere riuscito, in milioni di anni, a superare indenne numerosi sconvolgimenti climatici e ambientali.
Il suo centro di diffusione si trova in Asia, dove vive anche a quote molto elevate. Dalle regioni asiatiche, il genere si é sparso poi, verso occidente, sino all'Europa e, verso oriente, attraverso la Siberia e l'Alaska, fino all'America settentrionale.
E’ possibile infatti osservare la P. apollo nei grandi spazi aperti, fra i 700 e i 1800 metri di altezza (nelle regioni più settentrionali, svolazza a quote più basse), in tutte le catene montuose dell’Europa e dell’Asia centrale. E’ assente però dalla Gran Bretagna ed é andata progressivamente rarefacendosi, fino a scomparire del tutto, dalla Danimarca, dalla Germania centrale e dalla Cecoslovacchia. Si tratta comunque di una specie a rischio di estinzione e, per tale motivo, é entrata di recente nell’elenco delle specie da proteggere; é sempre più difficile, infatti, reperirla anche laddove un tempo era possibile incontrarla sia pure sporadicamente.
La necessità aguzza l'ingegno
La maggior parte delle oltre 100.000 specie di farfalle conosciute, vive nelle zone calde di pianura e, soprattutto, nelle regioni tropicali.
Vi sono tuttavia alcune specie che abitano in ambienti piuttosto freddi o addirittura inospitali: nell'Himalaya sono state trovate farfalle anche a 6000 metri di quota !
Sulle nostre Alpi non sono rare a 1500-2000 metri e possono spingersi anche molto più in alto.
Le farfalle che si incontrano in montagna possono essere raggruppate in due categorie: quelle di passaggio e quelle stanziali. Le prime, in genere, fanno parte di grandi correnti migratorie oppure possono essere individui del fondovalle che vengono casualmente a trovarsi a quote più elevate.
In gran parte dei casi però le farfalle di montagna trascorrono la vita e depongono le uova sulle montagne stesse.
Come tutti gli insetti delle alte quote anche i lepidotteri devono fare i conti con le basse temperature. Durante il giorno, l'insolazione può essere fortissima (una farfalla quando raggiunge una temperatura corporea di 45° C muore), mentre la notte é decisamente fredda.
Cosicché hanno sviluppato sorprendenti capacità di adattamento: quando é notte, o comunque fa troppo freddo, esse divengono torpide e se ne stanno ferme, senza alcuna capacità di volare.
La muscolatura che muove le ali (che si trova nel torace della farfalla) può funzionare soltanto al di sopra di una certa temperatura; ecco perché l'insetto, all'alba, distende le proprie ali al sole in attesa di riscaldarsi.
Molte specie, poi, presentano una colorazione più scura sulle ali, là dove esse si attaccano al torace.
Dato che nelle farfalle il sangue (emolinfa) circola anche nelle nervature alari, queste ultime funzionano un pò come dei collettori di energia solare che facilitano il riscaldamento del corpo. L'animale, in ogni caso, comincia a far vibrare i propri muscoli prima di prendere il volo.
Un'altra particolarità delle farfalle di montagna risiede nel fatto che, spesso, hanno il corpo ricoperto da una fitta peluria per difendersi dal freddo. Le ali, pertanto, sono quasi trasparenti per il diradarsi delle squame colorate che, in certe punti, sono sostituite dai peli. Ciò non si riscontra, di norma, nelle specie delle zone calde, mentre é un carattere comune nelle farfalle crepuscolari e notturne. Anche questa particolarità é legata all'esigenza di trattenere il calore corporeo (provocato dall'attività dei muscoli durante il volo) e di impedire, nel contempo, una sua dispersione e quindi un troppo repentino raffreddamento.
Ne discende una modalità di sopravvivenza che, per mantenere il corpo in efficienza, cerca di esercitare un controllo sulla temperatura interna e, quindi, si autoregola in funzione dell'ambiente circostante.
Il fascino di Apollo
L'insetto in questione, é dunque, il più noto fra le farfalle di montagna e porta un nome mitologico datole dal grande naturalista svedese Carlo Linneo: Parnassius apollo.
Esso deriva da un monte della Grecia, il Parnaso, nell’antichità sacro alle Muse e ad Apollo. Questa divinità, figlia di Zeus, incarna l’ideale virile della bellezza e, perciò, Linneo non poté fare a meno di scegliere una denominazione scientifica più appropriata per un essere così leggiadro e decorativo.
In Aspromonte, questo lepidottero si rinviene sui prati e sui pascoli, nelle radure ai margini di aride pietraie o ai bordi di piccoli rivi d'acqua, dove si sofferma per calmare l'arsura estiva; svolazza infatti tra le fioriture spontanee, nei mesi di giugno, luglio e agosto e, solo nella bella stagione, osservando il nobile, elegante volo di questa specie, é possibile prendere piena coscienza del suo gradevole aspetto esteriore.
La sua apertura alare oscilla fra i 50 e i 70 mm ed é caratterizzata da una vistosa macchia ocellare, rossa o aranciata, bordata di nero, nella pagina superiore delle ali posteriori.
La specie presenta notevole dimorfismo sessuale: le femmine sono di dimensioni più grandi degli individui di sesso maschile, dai quali differiscono anche per avere tinte leggermente più scure, con tonalità di grigio più accentuate.
I bruchi (stadio larvale), di color nero vellutato con una serie di macule rosso-arancione lungo i fianchi, si sviluppano a spese dei succosi tessuti di piante nutrici quali: Sedum album, Sedum purpuraescens e Sempervivum tectorum, una sorta di piante grasse (Crassulacee) sulle quali vivono.
Come tutte le farfalle del genere, l'Apollo ha la stessa fredda bellezza delle rocce dalle quali spesso é circondata; vivacizza e rallegra il paesaggio anche se non fa sfoggio di colori, eppure le sue macchie nere e rosse, benché molto sobrie, hanno un fascino innegabile. Le ali, d'altra parte, sono rigide e conferiscono all'insetto un volo pesante, ma resistente: nelle giornate di sole l'Apollo si sposta da un fiore all'altro, con estrema lentezza e maestosità.
L'adulto é attivo, di regola, da maggio a settembre, a seconda dell'altezza e dell'insolazione dell'ambiente; durante le ore calde della giornata ha un volo spesso molto alto, mentre verso sera, quando la temperatura si abbassa, si posa su qualche fiore dove resta intorpidito fino al giorno seguente.
La storia del nostro endemismo termina qui ma, se vi fa piacere, tornerò presto sull'argomento, presentandovi altri simili "fiori" che, girovagando indefessamente tra i pianori erbosi e in aperta campagna, allietano il paesaggio calabrese.
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BIBLIOGRAFIA
- "Conoscere la Natura d'Italia"- Guida Enciclopedia Illustrata - Ist. Geogr. De Agostini - NO - 1985
- "Hobby Fauna - International News" - Calegari Ediz. - MI -1985